Atlanta e Ippomene

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Guido Reni, Atlanta e Ippomene, 1620-1625

Atlanta, figlia di Iaso, re dell’Arcadia e di Climene, venne abbandonata dal padre sul monte Pelio e cresciuta da un’orsa. Bellissima e abile cacciatrice, Atlanta è più veloce dei centauri nella corsa, tanto veloce che, non volendo prendere marito, quando il terribile padre dopo averla riconosciuta vuole costringerla a farlo, accetta di concedersi solo a chi la batta in una gara di corsa. Tutti i pretendenti che partecipano alla gara, perdono e infine vengono uccisi. Ippomene, perdutamente innamorato della ninfa, prima di prendere parte alla gara di corsa chiede aiuto a Venere. La Dea gli consegna tre mele dorate, colte nel Giardino delle Esperidi, che durante la corsa dovrà semplicemente lasciar cadere una ad una. Ippomene vince la gara approfittando della distrazione di Atalanta, che si ferma a raccogliere i frutti preziosi. Questo è narrato nel decimo libro delle Metamorfosi di Ovidio, e questo è il mito che Guido Reni ha trasfigurato in quest’opera raffinata e di suprema eleganza. Commissionata da Federico Gonzaga, la tela del pittore e incisore bolognese, ci mostra le due figure inserite in un paesaggio notturno, in cui i colori del cielo si uniscono idealmente alle tinte del terreno facendo risaltare prepotentemente i due personaggi. Il fascino di questa opera è dato sia dalla composizione, un’astratta geometria di diagonali incrociate e impreziosite dall’evoluzione dei panneggi dai colori argentei, sia dall’incarnato dei personaggi, roseo e delicatissimo, quasi etereo. Questa perfetta sintesi di rigorosa idealizzazione formale e di somma eleganza, che caratterizza tutte le opere di Guido Reni, assume in Atlanta e Ippomene la caratteristica fondante. Notevole è la tensione verso l’arte barocca, nella luce ad esempio, che sembra essere posizionata mirabilmente per mettere in risalto i due corpi dinamici e leggiadri. Un grande capolavoro di equilibrio visivo ed emotivo. Equilibrio è la parola chiave per descrivere questo dipinto che si pone quasi come una natura morta. E’ una gara di corsa, ma i suoi protagonisti, come congelati in un’istante di eternità, ci appaiono perfettamente immobili. Ferma Atalanta, china verso sinistra per prendere il pomo fatale. Fermo Ippomene, come una statua dall’anatomia perfettamente definita, mentre fugge in direzione opposta, verso la vittoria e in definitiva, magica ambivalenza della narrazione barocca, verso di lei.

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